La musica concentrazionaria

La musica può diventare anche una fonte per la riflessione storica, in questo caso scopriremo come può salvare l'anima dall'abbrutimento, visti gli orrori del lager.

Partecipando ad un concorso a Tel Aviv, Francesco Lotoro rimase sbalordito dall’obbligo imposto ai concorrenti di portare una sonata per pianoforte, composta a Theresienstadt, di Gideon Klein (vedi foto), un autore completamente sconosciuto a Lotoro e dimenticato dalla letteratura musicale.
Incuriosito, dopo quel concorso, andò a Praga nella speranza di trovare altre composizioni di Klein, ma ancora una volta rimase meravigliato: si aspettava di trovarne una decina, al massimo venti.
Tornò con 300 opere.

Il concorso si svolse nel 1991 ed è proprio in quella occasione che nacque l’interesse del il pianista per la musica “concentrazionaria”, cioè composta nei campi di prigionia negli anni della II Guerra Mondiale, che lo portò alla fondazione dell’Orchestra Musica Judaica nel 1995.
Lotoro cominciò a salvare tutto questo patrimonio, sconosciuto ai più, per impedire che andasse perduto.
Obiettivo assai ambizioso, poiché raccogliere la musica composta “in cattività” nel periodo tra il 1933 (anno d’apertura dei primi campi: Dachau e Börgermoor) e il 1945 (fine della II Guerra Mondiale e conseguente chiusura di tutti i lager) si rivela da subito un enorme lavoro, per certi aspetti anche impossibile, da effettuare su un “mare magnum di musicisti imprigionati, deportati, uccisi, sopravvissuti, d’ogni nazionalità e religione” e di molti paesi.
Ma, oltre al gran numero di musicisti, esiste anche un grande varietà di generi musicali: si va dalla canzone leggera alla produzione sinfonica, cameristica, pianistica e via dicendo, per non parlare poi della musica militare e degli inni.
Spesso si trattava di canti da intonare all’appello o al ritorno dai lavori forzati o, come succedeva ad Auschwitz, musiche prodotte su ordine di un Kapò per l’intrattenimento degli ufficiali tedeschi, la cosiddetta musica “coatta”.
Questi brani venivano creati per partecipare a dei concorsi: l'eventuale premio in marchi lo ritirava poi il Kapò, spacciandosi per l’autore dell’opera.
In certi casi però la perversione dei capi nazisti arrivava a far comporre canti ingiuriosi e autoderisorii nei confronti degli ebrei stessi: la musica “Treblinka”.
Infatti a Buchenwald fu imposto di eseguire il “Canto degli Ebrei”,che risultava essere una confessione auto-denigratoria sulla loro origine giudaica.
“Musica concentrazionaria è la produzione musicale in cattività e, precisamente, in condizioni minime o estreme di privazione dei diritti fondamentali dell’uomo”.
Questa è la definizione di Lotoro.
Sorprende che, nell’orrore di quelle realtà, i deportati riuscissero a comporre!
Ma c’è una spiegazione più che logica: l’uomo ha incredibile capacità di adattamento e, se la necessità di esprimere è forte, il dove e il come diventano del tutto secondari.
Per molti, infatti, fu valvola di sfogo per fuggire la realtà inumana alla quale erano costretti e non solo: la musica serviva ad “aggregare e stemperare l’odio”, ad unire e dare forza nei momenti di fatica e di disperazione, a risollevare il morale, anche a scampare la morte, in certi casi: Infatti chi era membro di orchestre e complessi minori aveva qualche possibilità in più di non far parte del successivo contingente di gassati o fucilati per cui i complessi musicali crescevano all’interno di questi immensi cimiteri.
I prigionieri vivevano l'esecuzione musicale come un momento di aggregazione in cui era percepibile il calore umano che solo la musica può rafforzare nei momenti di disperazione e sofferenza e che, di norma, era assente all’interno di quelle orribili realtà.
Un esempio può essere il ghetto di Terezìn, che fu un campo di concentramento agevolato, in quanto parzialmente amministrato da ebrei e quindi luogo di rappresentazioni teatrali e concerti.
Di tutto questo materiale si occupa Lotoro. E' un lavoro davvero ammirabile poiché spesso si tratta di composizioni scritte su supporti fragili e deperibili (ad esempio anche sulla carta igienica) e che in più di un’occasione necessitavano di essere riscritte a memoria dagli ex-deportati dopo la fine della guerra, proprio perché le loro opere erano andate perdute.
Mentre il lavoro di Lotoro va avanti tutt’oggi, nonostante le difficoltà finanziarie, è utile soffermarsi a pensare a come, in mezzo alla morte e alla disperazione, frutto di una mente malata, tutti questi musicisti abbiano continuato “a parlare la sola lingua che apparteneva loro. La musica.”.

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