Leopardi e la musica nello Zibaldone

Anche un noto autore romantico della letteratura italiana riflette a lungo sul valore e l'effetto della musica: si tratta di Leopardi.
Le considerazioni a riguardo contenute nello Zibaldone sono indicizzate dall'autore, nelle sezioni: Speculativa e Pratica Storica della Teorica delle arti, lettere ec. Tutto ciò che costituisce la concezione leopardiana sull'argomento va incluso nel discorso sulle arti e sul bello, che egli definisce il proprio «Sistema di Belle Arti».

Zibaldone 1935-36:
Dico che l'effetto della musica spetta principalmente al suono. Voglio intender questo. Il suono (o canto) senz'armonia e melodia non ha forza bastante nè durevole anzi non altro che momentanea sull'animo umano. Ma viceversa l'armonia o melodia senza il suono o canto, e senza quel tal suono che possa esser musicale, non fa nessun effetto. La musica dunque consta inseparabilmente di suoni e di armonia, e l'uno senza l'altro non è musica. Il suono in tanto è musicale in quanto armonico, l'armonia, in quanto applicata al suono. Sin qui le partite sarebbero uguali. Ma io attribuisco l'effetto principale al suono perch'esso è propriamente quella [1935] sensazione a cui la natura ha dato quella miracolosa forza sull'animo umano (come l'ha data agli odori, alla luce, ai colori); e sebbene egli ha bisogno dell'armonia, nondimeno al primo istante, il puro suono basta ad aprire e scuotere l'animo umano. Non così la più bella armonia scompagnata dal suono. Di più se il suono non è gradevole, cioè non è di quelli a cui la natura diede la detta forza, unito ancora colla più bella armonia, non fa nessun effetto; laddove uno dei detti suoni gradevoli ec. unito ad un'armonia di poco conto, fa effetti notabilissimi. Del resto accade nella musica come negli oggetti visibili. La luce e il suono ricreano e dilettano per natura. Ma il diletto dell'una e dell'altro non è nè grande nè durevole, se non sono applicati, questo all'armonia, quella, non solo ai colori (che i colori son come i tuoni, e di poco durevole diletto, sebben più durevole di quello della luce semplice o del bianco), ma agli oggetti [1936] visibili o naturali o artefatti, come nella pittura, che applica, distribuisce ed ordina al miglior effetto i tuoni della luce, come l'armonia quelli del suono. I colori non hanno che fare coll'armonia, ma hanno un altro modo di dilettare. I tuoni del suono non hanno se non l'armonia, a cui possano essere dilettevolmente applicati. (17. Ott. 1821.)

Come si può notare, Leopardi qui equipara gli effetti della luce a quelli del suono, entrambi «ricreano e dilettano per natura», ma il piacere non sarebbe «né grande né durevole» se non dipendesse dalla combinazione della materia con cui viene creata l'opera d’arte: i suoni per la musica, i colori, ovviamente, per la pittura.
Per quanto riguarda la musica, dato che il concetto di bello è estremamente soggettivo, il diletto non nasce dalla “bellezza” della composizione, bensì dalla “piacevolezza” che il suono produce in modo naturale. L'autore si serve del confronto con odori e sapori per chiarire questo basilare concetto: il diletto scaturito dalla musica non proviene dall'armonia, bensì dal suono. Infatti sia i suoni che gli odori sono in grado di destare l’immaginazione e il ricordo, cioè di risvegliare sensazioni che richiamano quel desiderio di infinito che all'uomo, purtroppo, è impossibile soddisfare.

Zibaldone 1537-8
Gli odori sono quasi un'immagine de' piaceri umani. Un odore assai grato lascia sempre un certo desiderio forse maggiore che qualunqu'altra sensazione. Voglio dire che l'odorato non resta mai soddisfatto neppur mediocremente: e bene spesso ci accade di fiutar con forza, quasi per appagarci, e per render completo il piacere senza potervi riuscire. Essi sono anche un'immagine delle speranze. Quelle cose molto odorifere che son buone anche a mangiare, per lo più vincono coll'odore il sapore, e questo non corrisponde mai all'aspettativa di quel gusto, che dall'odore se n'era conceputa. E se voi osserverete vedrete che odorando queste tali cose, vi viene quel desiderio che tante volte ci avviene nella vita, d'immedesimarci in certo modo con quel piacere, il che ci spinge a porcelo in bocca: e fattolo restiamo mal paghi. Nè solo nelle cose buone a mangiare, ma anche negli altri odori ci sopravviene lo stesso desiderio; e [1538] fiutando p.e. Con gran diletto un'acqua odorifera, e non potendoci mai appagare di quella sensazione, ci vien voglia di berla. (21. Agos. 1821.)

L'immaginazione è l'unico mezzo che l'uomo possiede per arginare l'impossibilità di impadronirsi a pieno del piacere e dunque della felicità. La «facoltà immaginativa», risvegliata da suoni, odori, da un ostacolo concreto che impedisce la vista o da un panorama senza confini, consente all'uomo l'illusione di aver conseguito un piacere, seppur surrogato di quello reale.
Infatti la mente tende a mete che non esistono realmente e che perciò sono avvolte da un magico alone di infinito; così si proietta in uno stato di estasi che è in grado di far scaturire la più grande poesia:

Zibaldone 171
L'anima s'immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua vista si estendesse da per tutto, perchè il reale escluderebbe l'immaginario. Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel vedere il cielo ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come chiamano...(12-23. Luglio 1820.)

Gli antichi, per creare poesia, davano largo sfogo all'immaginazione, ma da quando la scoperta del vero ha sgretolato le illusioni, la fantasia e le credenze popolari, Leopardi si domanda cosa debba rappresentare l'artista moderno nelle sue opere. La civiltà ha infatti sottratto a questo le illusioni di cui la natura lo aveva fornito mediante l'immaginazione.
Nella propria concezione di Belle Arti, egli sostiene che tutte le opere d’arte devono avere come oggetto il «Vero» che si ricava solo dall’imitazione della natura. Allora è una contraddizione che Leopardi riconosca come vera poesia solo quella scaturita dall’immaginazione però indichi come oggetto delle opere d’arte il «Vero»?
No, ciò a cui lui si riferisce non è l'arido vero della ragione, ma il reale, proprio come si mostra ai nostri occhi, con il bello e il brutto, perché ogni distinzione a riguardo è artificiale, creata dall’uomo, e non dalla natura, perciò ha un valore soggettivo, relativo.
L’effetto del suono è un esempio che l'autore utilizza nelle sue rappresentazioni poetiche per conciliare la realtà con l’immaginazione. Non attribuendone l'origine a cause misteriose e considerandolo invece un fenomeno naturale in grado, però, di suscitare immagini poetiche, Leopardi associa gli effetti prodotti dal suono, sorta di catalizzatore tra realtà e sua rappresentazione poetica, alla sua idea di infinito:

Zibaldone 1927-8
«quello che altrove ho detto sugli effetti della luce o degli oggetti visibili, in riguardo all’idea dell’infinito, si deve applicare parimente al suono, al canto, a tutto ciò che [1928]spetta all’udito. È piacevole per se stesso, cioè non per altro, se non per un’idea vaga ed indefinita che desta, un canto (il più spregevole) udito da lungi o che paia lontano senza esserlo, o che si vada appoco appoco allontanando, e divenendo insensibile o anche viceversa (ma meno) o che sia così lontano […], che l’orecchio e l’idea quasi lo perda nella vastità degli spazi; un suono qualunque confuso, massime se ciò è per la lontananza; un canto udito in modo che non si veda il luogo da cui parte; un canto che risuoni per le volte di una stanza ec. Dove voi non vi troviate però dentro; il canto degli agricoltori che nella campagna s’ode suonare per le valli, senza però vederli, e così il muggito degli armenti ec. […]. È piacevole qualunque suono (anche vilissimo) che largamente e vastamente si diffonda, […], massime se non si vede l’oggetto da cui parte […]».

E ancora:

A queste considerazioni appartiene il piacere che può dare e dà (quando non sia vinto dalla paura) il fragore del tuono, massime quand'è più sordo, quando è udito [1929] in aperta campagna; lo stormire del vento, massime nei detti casi, quando freme confusamente in una foresta, o tra i vari oggetti di una campagna, o quando è udito da lungi, o dentro una città trovandosi per le strade ec. Perocchè oltre la vastità, e l'incertezza e confusione del suono, non si vede l'oggetto che lo produce, giacchè il tuono e il vento non si vedono. È piacevole un luogo echeggiante, un appartamento ec. che ripeta il calpestio de' piedi, o la voce ec. Perocchè l'eco non si vede ec. E tanto più quanto il luogo e l'eco è più vasto, quanto più l'eco vien da lontano, quanto più si diffonde; e molto più ancora se vi si aggiunge l'oscurità del luogo che non lasci determinare la vastità del suono, nè i punti da cui esso parte ec. ec. E tutte queste immagini in poesia ec. sono sempre bellissime, e tanto più quanto più negligentemente son messe, e toccando il soggetto, senza mostrar [1930]l'intenzione percui ciò si fa, anzi mostrando d'ignorare l'effetto e le immagini che son per produrre, e di non toccarli se non per ispontanea, e necessaria congiuntura, e indole dell'argomento (16. Ott. 1821.)

Qui sembra emergere il concetto di un’ “acustica idillica”, basata sulla percezione dei suoni intesi come produttori di sensazioni vago-indefinite» e si afferma che l’echeggiare di tutti i suoni, di cui non si osserva la fonte, diventano immagini bellissime «tanto più quanto più negligentemente son messe, e toccando il soggetto, senza mostrar l’intenzione per cui ciò si fa, anzi mostrando d’ignorare l’effetto e le immagini che son per produrre».
Riguardo l’imitazione nell’arte, è assurdo, per l'autore, formulare un giudizio universalmente valido sul bello o sul brutto in natura, perché è assente un modello di riferimento, né la bellezza è riconducibile alla sfera metafisica, ma, piuttosto, va vista come un concetto che si crea nell’uomo durante il suo percorso conoscitivo, pertanto, è continuamente suscettibile di cambiamenti. L’unico criterio di giudizio è, dunque, la relatività del gusto e di tutto ciò che definisce “conveniente”.
Nella musica egli distingue il suono, la parte «principale e più essenziale» della musica, e l’armonia, che esprime il relativo. Questa produce un effetto dipendente dalla convenienza, condizionato, cioè, dal gusto; il suono, che esprime l’assoluto, produce un effetto immediato, non solo sull’uomo ma anche su alcuni animali:

Zibaldone 155-156
L'effetto naturale e generico della musica in noi, non deriva dall'armonia ma dal suono, il quale ci elettrizza e scuote al primo tocco quando anche sia monotono. Questo è quello che la musica ha di speciale sopra le altre arti, sebbene anche un color bello e vivo ci fa effetto, ma molto minore. Questi sono effetti e influssi naturali, e non bellezza. L'armonia modifica l'effetto del suono, e in questo (che solo appartiene all'arte) la musica non si distingue dalle altre arti, giacchè i pregi dell'armonia consistono nella imitazione della natura quando esprimono qualche cosa, e in seguire quell'idea della convenienza dei suoni ch'è arbitraria e diversa in diverse nazioni. Ora il suono non è difficile che faccia effetto anche nelle bestie, ma non è necessario, e massimamente quegli stessi suoni che fanno effetto nell'uomo (quando vediamo anche tra gli uomini che certe nazioni si dilettano di suoni tutti diversi da' nostri, e per noi insopportabili). [156] I loro organi, e indipendentemente da questi, la loro maniera d'essere è differente dalla nostra, e non possiamo sapere qual sia l'effetto di questa differenza. Tuttavia se questa non sarà molto grande, o almeno avrà qualche rapporto con noi in questo punto, il suono farà colpo in quei tali animali, come leggiamo dei delfini e dei serpenti (V. Chateaubriand). Ma l'armonia è bellezza. La bellezza non è assoluta, dipendendo dalle idee che ciascuno si forma della convenienza di una cosa con un'altra, laonde se l'astratto dell'armonia può esser concepito dalle bestie, non perciò per loro sarà armonia e bellezza quello ch'è per noi. E così non è la musica come arte ma la sua materia cioè il suono che farà effetto in certe bestie. (6. Luglio 1820.)

Ora, se la musica produce un certo effetto anche sugli animali, questo significa che il diletto deriva dal suono, che agisce immediatamente sui loro sensi, senza ovviamente percezione dell’idea umana di convenienza o di bello.
D'altra parte, il canto degli uccelli, indipendentemente dall’armonia, può manifestare sentimenti e stati d’animo, destare profonda commozione nell’animo umano:

Zibaldone 281
«quell’usignolo di cui dice Virgilio nell’episodio di Orfeo, che accovacciato su d’un ramo, va piangendo tutta notte i suoi figli rapiti, e colla miserabile sua canzone, esprime un dolor profondo, continuo, ed acerbissimo, senza moti di vendetta, senza cercare riparo al suo male, senza proccurar di ritrovare il perduto ec. è compassionevolissimo, a cagione di quell’impotenza che esprime […]»

Il suono è avulso da ogni convenienza, è come la bellezza umana i cui effetti appartengono alla sfera del piacere e non a quella del bello: come una «leggera stonazione» in musica non renderà meno piacevole l’effetto all’orecchio del volgo, così una sproporzione nella forma umana non sarà sufficiente a determinare la bruttezza di una persona.
Il giudizio sulle opere d'arte dipenderà, perciò, dal grado di perfezione che l'artista conseguirà nell'imitazione della natura, non solo riguardo al bello, ma anche al brutto. L'effetto finale dell'opera dipenderà allora dall'intensità della sensazione che l'oggetto rappresentato è in grado di suscitare.

In conclusione, se tutte le altre arti per dilettare devono imitare la natura il più possibile, solo la musica ha un potere diretto sull’animo umano e su quello degli animali, perché il suo privilegio legato al suono, un elemento naturale e primitivo che la rende l’arte per eccellenza, è proprio quello di toccare il sentimento umano in maniera immediata.

Zibaldone 79
«le altre arti imitano ed esprimono la natura da cui si trae il sentimento, ma la musica non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona, ch’ella trae da se stessa e non dalla natura […]» (8. Gen. 1820.).

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