Il maggiore Max Harari
Il capo dell’intelligence militare inglese in Etiopia, Max Harari, scrisse una lunga scheda sul tenente italiano. Harari ammirava cavallerescamente quella figura donchisciottesca, che perseguiva i suoi ideali e valori conducendo una guerriglia tanto inesorabilmente destinata alla sconfitta quanto serrata. Avrebbe voluto parlare con quell’ufficiale italiano per chiedergli come riusciva a procurarsi le armi, da dove provenisse il denaro con cui pagava i suoi uomini. Curiosità e ammirazione avrebbero mosso quelle domande più che la necessità di ottenere informazioni utili alla contro-guerriglia. Dagli italiani non riuscì ad ottenere informazioni utili, Guillet dopotutto non intratteneva rapporti con i suoi connazionali ed Harari era cosciente del fatto che avrebbe ottenuto informazioni valide solo da indigeni pronti a tradirlo.
Ormai Guillet era braccato, non era più protetto dalle leggi internazionali, in quanto aveva dismesso la divisa da militare, sulla sua testa pesava una taglia di ben 1000 sterline d’oro, vivo o morto. Nonostante questo, come ha ben sottolineato un suo biografo, Vittorio Dan Segre: “C’erano decine di persone che erano a conoscenza della sua esistenza e dei suoi nascondigli, per i quali 1000 sterline avrebbero rappresentato un patrimonio considerevole. Mai nessuno, però, andò dalle autorità inglesi per denunciarlo”.
Delle operazioni di Guillet in Eritrea, il Maggiore era riuscito a trarre notizia solo da un vecchio stato di servizio recuperato negli archivi del Comando italiano, e da un articolo pubblicato nel 1940 su “Azione coloniale” in cui l’inviato di guerra raccontava di aver rintracciato il tenente Guillet nel bassopiano eritreo, mentre con le sue bande a cavallo scorazzava lungo il confine del Sudan anglo-egiziano. Aveva divulgato il soprannome di Cummandar-as-shaitan e l’aveva descritto come un “corsaro del deserto”: magro, bruciato dal sole, con un viso che dagli “arabi fra cui aveva vissuto a lungo e di cui conosce la lingua e i dialetti, ha preso l’espressione un po’ assorta, enigmatica.”
A differenza di ciò che si considerava pericoloso, delle operazioni portare avanti da Guillet dagli alti comandi inglesi, ovvero il fatto che queste sparpagliate attività di resistenza italiana potessero ricreare un secondo fronte in Africa; il maggiore Harari era turbato dal fatto che la Banda di Guillet era l’unica formata completamente da indigeni e per questo, oltre a dar fastidio all’operato inglese con le continue operazioni di guerriglia, contraddiceva la tesi della liberazione degli eritrei dal “gioco fascista”, pregiudicando la credibilità della propaganda alleata. Sarebbe tuttavia stato inutile cercare informazioni tra gli italiani antifascisti, nel suo rapporto non vi erano tracce di simpatia per il regime anzi, vi era
riportata notizia di specifiche azioni che andavano contro le direttive di Roma. Ad esempio nel 1938, in seguito alle già citate leggi “per la difesa della razza”, arruolò nei suoi reparti degli ebrei etiopi, detti falascià. La caccia a questo personaggio dal cipiglio romantico, che lo aveva decisamente affascinato, gli era cosa alquanto sgradita, ma non aveva altra scelta che portarla avanti e vincerla perché quella era una guerra che non ammetteva partite chiuse alla pari.
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