Deserto

Questa volta a Massawa, spacciandosi per uno yemenita malato di mente, riuscì ad ottenere un passaggio regolare verso lo Yemen. Alla fine del dicembre del 1941, finalmente sbarcarono ad Odeida. È qui che Amedeo, dopo anni in cui ha pregato Dio secondo rito musulmano, recitò la professione di fede islamica: “Non vi è altro Dio al di fuori di Dio e Maometto è il suo profeta”.

Diventò sempre più difficile nascondere la propria identità, poiché poteva fingersi yemenita in terra straniera, non di certo in Yemen. Fu probabilmente a causa dei suoi modi raffinati o per la perfetta conoscenza della lingua araba, tanto che il funzionario portuale si insospettì e lo fece rinchiudere in prigione con l’accusa di essere una spia inglese. Paradossalmente fu proprio grazie ai suoi principali inseguitori, gli inglesi, che anche questa volta Guillet riuscì ad avere la vita salva. Infatti, quando le autorità inglesi appresero la notizia della cattura del tenente, chiesero subito allo Yemen di estradarlo. A questo punto gli yemeniti si insospettirono dalla strana richiesta avanzata dal comando inglese, non riuscivano a spiegarsi per quale motivo potessero essere tanto interessati ad un prigioniero tanto malridotto. L’Imam Yahia venne informato di quello strano prigioniero per il quale gli inglesi facevano pressione, così lo convocò al suo cospetto. Quando il tenente Guillet raccontò all’Imam la sua storia, il sovrano rimase così favorevolmente colpito, che decise di ospitarlo nel suo palazzo. In breve tra Amedeo e l’Imam si creò un rapporto di stima reciproca. Il sovrano lo fece curare, gli assicurò una casa e lo nominò “gran maniscalco” della sua corte. Passò un anno nello Yemen, al termine del quale per Guillet giunse il tempo di partire.

Salutato Daifallah, partì per Massawa dove era in partenza una nave della Croce Rossa, la Giulio Cesare, che era stata messa a disposizione per permettere a tutti i civili italiani che lo volessero, di tornare in Patria. Guillet, grazie all’aiuto fornitogli dall’Imam, raggiunse Massawa, dove egli avrebbe dovuto trovare un modo per imbarcarsi senza essere arrestato dagli inglesi. Ancora una volta la fortuna lo assistette. Infatti, i vecchi amici del porto che non lo avevano dimenticato, lo aiutarono a salire furtivamente sulla nave.

Una straordinaria coincidenza fece sì che Guillet venisse scoperto dal capitano della Giulio Cesare. Il tenente vedendo i nastrini delle campagne della Prima guerra mondiale appuntati sull’uniforme del Capitano, confessò la propria identità spiegandogli che nel caso fosse caduto nelle mani degli inglesi, il suo destino era stato già scritto. L’anziano Capitano decise di aiutare Guillet in quell’ultimo viaggio verso la madre Patria, cosicché una volta che la nave ebbe mollato gli ormeggi, fece trasferire discretamente Guillet nel manicomio accanto al sanatorio, dove passò tutto il periodo del viaggio. Dopo 40 giorni di navigazione, compiendo il periplo dell’Africa, la “Giulio Cesare” arrivò in Italia il 2 settembre del 1943.



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