L'Accademia degli Incamminati



L'altro filone artistico sviluppatosi nel Seicento nasce a Bologna con l'Accademia degli Incamminati dai pittori bolognesi Ludovico Carracci, il cugino Agostino e il fratelli di questi Annibale Carracci.

Inizialmente chiamata Accademia del Naturale, in quanto la sua finalità era quella di insegnare agli allievi la riproduzione dal vero seguendo le istruzioni del Vasari sulla verosimiglianza e sulla mimesi, in seguito anche detta Accademia dei Desiderosi per il desiderio di imparare e infine Accademia degli Incamminati per sottolineare l'impegnativo percorso artistico che ogni allievo doveva intraprendere.
La formazione dei Carracci è abbastanza eterogenea e abbraccia la tradizione classicista di Raffaello, il colorismo veneto, la maniera di Michelangelo e l'esperienza di molti pittori emiliani e lombardi.
I Carracci pensano la loro Accademia come una scuola moderna nella quale all'insegnamento pratico del disegno e della copia dal vero si affianca l'insegnamento teorico della letteratura, della filosofia, matematica e geometria perché oltre alle abilità tecniche l'artista deve avere un'ampia cultura generale, poliedrica e approfondita sulle altre arti liberali.
L'importanza e la particolarità dei Carracci sta proprio nell'aver mutato una delle conquiste del Rinascimento: il riconoscimento della figura dell'artista come personalità singola fautore di un'arte liberale e non puramente meccanica, un riconoscimento faticosamente acquisito e che portò l'artista a diventare sempre più geloso della propria arte e poco incline a condividerla.
Ebbene, i Carracci, contro la tendenza del tempo decisero di voler divulgare le proprie conoscenze e abilità, di insegnare a tutti gli allievi desiderosi di apprendere, costituendo così il prototipo di tante altre accademie simili che si diffonderanno per tutta la Penisola.
L'intento principale dei tre Carracci era quello di superare quelle circonvoluzioni tardomanieriste e di riportare in vita il classicismo rinascimentale di Raffaello, il naturalismo coloristico dei veneti e anche quei temi mitologici classici cari al Veronese.
Agostino Carracci è il più colto dei tre e il suo apporto all'Accademia è puramente torico. Insegna la necessità di uno studio rigoroso prima della realizzazione di ogni disegno durante il quale bisogna stabilire che cosa si vuole rappresentare e quale messaggio si vuole trasmettere. Inoltre tramite lo studio della filosofia e della storia dell'arte fa comprendere la conoscenza fondamentale della classicità e della storia.
Ludovico è il meno colto quindi il suo è un insegnamento di tipo tecnico-pratico.
Possedeva un repertorio stilistico vario e aggiornato grazie alla sua formazione pittorica eclettica e, aderendo alle indicazioni controriformistiche i suoi personaggi religiosi sono rappresentati in modo da ispirare modestia, santità e devozione.
Ma il più importante e famoso dei Carracci fu Annibale. Il giovane Carracci rivendicava ai pennelli e ai colori una capacità di comunicazione simile se non superiore a quella della parola («Noi altri Dipintori habbiamo da parlare con le mani») e l'insegnamento ai suoi allievi era dato tramite l'esempio più che con la teoria. La sua pittura è una colta e raffinata miscela di perfezione raffaellesca, modelli del rinascimento fiorentino e romano, colore veneto e grazia correggesca.
L'opera che meglio racchiude gli intenti di Annibale e dell'Accademia, nonostante sia un'opera giovanile, è il Mangiafagioli.
Il Mangiafagioli è una delle prime scene di genere dell'arte italiana, un tipo di pittura i cui soggetti sono attinti dalle piccole cose della vita quotidiana.
Annibale raffigura un popolano nell'atto di mangiare dei fagioli, il tavolo sul quale sono disposti gli oggetti e le pietanze di un tipico pasto contadino, il pane, la brocca di vino, i porri ma l'attenzione è tutta rivolta al personaggio: il suo isolamento è accentuato dallo sfondo buio e prospetticamente piatto, la volontà di riportare la realtà è dimostrata dall'attenzione a minimi particolari quali lo sgocciolare del brodo dal cucchiaio nel piatto, il cappellaccio sfilacciato di paglia, la mano che afferra avidamente il pane per la paura che gli venga sottratto e gli occhi, fissi e sospettosi.
L'intento di rappresentare con realismo la miseria quotidiana della povera gente è perfettamente riuscito anche tramite l'utilizzo di colori spenti, terrosi, dal disegno incisivo e disadorno.


Questa vuole essere una brevissima e generale storia di come artisti, appartenenti ad “etichette artistiche” diverse, abbiano affrontato il difficile rapporto idea-natura.L'idea è originata dalla natura e da essa si sviluppa per dar vita «al perfetto della bellezza naturale», un'idea che «unisce il vero al verisimile delle cose sottoposte all'occhio, sempre aspirando all'ottimo e al meraviglioso» (Giovan Pietro Bellori) ma per dar vita ad un'arte che trovi il giusto equilibro tra razionalità naturale ed impulso espressivo, parafrasando il Vasari, è necessario che le licenze creative dell'artista siano costantemente controllate dalle regole dell'intelletto.