Il "Carnevale di Arlecchino" di Juan Mirò e il Surrealismo


JUAN MIRO': Il Carnevale di Arlecchino, 1924-25; olio su tela 66 x 93 cm; Buffalo, Albright Knox, Art Gallery


Il surrealismo, come movimento letterario e culturale, con speciale riguardo alle arti figurative, ha il suo sviluppo iniziale negli anni venti del Novecento in Francia. Con la primitiva definizione del termine per opera di G.Apollinaire si allude alla complessa vita dell'inconscio. Il movimento ebbe come principale teorico il poeta Andrè Breton, che nel primo Manifeste sur le surrealisme (1924) indicò i termini del movimento nei principi dell'automatismo puro, fuori da qualsiasi interesse morale o estetico.

La follia, le allucinazioni, la fantasia, le illusioni, sono luoghi di conoscenza dell'uomo, energie che bisogna utilizzare per penetrare la soglia misteriosa del reale. E' proprio la compenetrazione di sogno e di realtà che determina lo spazio assoluto della cosidetta surrealtà, una definizione con la quale si tenta di affermare la totalità di essere. I surrealisti predicano lo stato di veggenza dell'artista, condizione indispensabile per lo sviluppo dell'immaginazione.

Essere pittore surrealista significa dunque affidarsi completamente alla forza visionaria delle immagini che possono assumere varie forme: aspetti non specificatamente figurativi - come in Mirò - o caratteri visionari - come in Dalì o Magritte.

L'adesione di Juan Mirò ( 1893-1983 ) al surrealismo è legata all'idea di una comunicazipone che sprigiona energie immaginative non riducibili ai limiti della stessa pittura ma in grado di suggerire un vitalismo continuo, una costante germinazione di emozioni impreviste." Il quadro deve essere fecondo - ha dichiarato Mirò - deve far nascere un mondo. Deve essere come delle scintille, deve sfavillare come quelle pietre che i pastori Pirenei usano per accendere la pipa."

Catalano di origine dopo avere4 assimilato le forme dell'avanguardia parigina tra cubismo e dadaismo Mirò esprime il bisogno diu raggiungere la massima intensità con mezzi essenziali, con la semplicità di forme e di colori, alla ricerca di un equilibrio tra figurativitàm e astrazione. Il suo modo di essere surrealista si esprime come invenzione di un linguaggio personalissimo, giocato sulla presenza simultanea di segni che si estendono in un movimento infinito.


Ne "Il Carnevale di Arlecchino", opera a cui Mirò lavora dal 1924 al 1925, nello studio Blomet, a Parigi, si vedono minuscole forme in un grande spazio vuoto, oggetti fantastici, linee volanti, piccole figure indecise tra l'essere umano e l'animale, forme biologiche e astrali, note musicali, presenze sparse che suggeriscono al lettore immagini da cui nascono altre immagini, vale a dire un'atmosfera ideale per la libera immaginazione surrealista.

Mirò vuole ricreare un ambiente surreale che però non si discosta dall'ambiente reale come una dimensione a sè stante, più forte. Infatti alcune caratteristiche lo evidenziano: la scala evidenzia la fuga dalla realtà, gli animali sono quelli che lui ha sempre amato, la sfera scura simboleggia la terra e il triangolo fuori dalla finestra la Tour Eiffel.

Questo quadro fu realizzato prima che Breton scrisse il "Manifesto surrealista", e fu interpretato come un " chiarimento del subconscio umano".Applica già la tecnica surrealista dell'automatismo psichico, cioè il trasferimento in maniera automatica, senza la mediazione della ragione, nelle forme dell'arte, delle immagini e delle associazioni che sgorgano liberamente dall'inconscio. Il processo quindi comporta di lasciarsi trasportare dalle forze dell'inconscio, liberi dal controllo della mente.

Il "Carnevale di Arlecchino" è considerato uno dei capolavori del movimento surrealista perchè esemplifica gli obiettivi e i traguardi che questa corrente pittorica si è proposta fin dal momento della sua fondazione.



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