L'informale in Italia: lotta di gesti e materia




Alberto Burri
Nato il 12 marzo 1915 a Città di Castello, in provincia di Perugia, Alberto Burri si laurea in medicina, ma viene travolto dagli eventi bellici e nel 1944 è prigioniero di guerra in un campo di concentremento del Texas. Ed è forse proprio l'esperienza della prigionia a far maturare in lui il desiderio di accostarsi alla pittura. Nell'immediato dopoguerra Burri si stabilisce a Roma, dove ha modo di avvicinarsi agli ambienti dell'avanguardia informale, interessandosi alle problematiche della materia che insieme al gesto costituiscono uno dei due principali temi conduttori della poetica informale. Egli infatti userà nelle sue opere materiali poveri di varia natura: dai semplici sacchi di iuta ai fogli di cellophane, passando attraverso legni bruciati e lamiere saldate.


La serie di sacchi a partire dal 1952 quando il maestro balza alla ribalta del manorama artistico italiano grazie a un insieme di composizioni realizzate con vari brandelli di tela di sacco.
Si tratta di sacchi laceri , sporchi, a volte anche bruciacchiati, recuperati al deposito di qualche carbonaio o rinvenuti nelle discariche dei rifiuti.

In SACCO 5P, un'opera del 1953, Burri incolla
su una tela da pittore vari brandelli di sacco
armonizzandone gli accostamenti in relazione al colore,
alla grana delle iute, alle toppe che vi sono state cucite sopra.








In SACCO E ROSSO, del 1954, la drammatica evidenziazione materica balza
ancora più prepotentemente agli occhi.
Su un fondo uniformemente rosso Burri incolla strati diversi di sacchi,
in modo da creare un'accidentata immagine a rilievo,
che neghi la bidemsionalità dello spazio pittorico.







La ricerca di Burri esplora vari territori materici. La matrice comune, sta nel fatto che si tratta sempre di materie povere neglette, spesso rifiutate. Prorprio perchè usate e dimesse esse sono più cariche di storia e di vita, come se la contiguità con le vicende personali di coloro che hanno fatto uso avesse trasferito su di esse parte di quelle realtà umane e sociali.


In CRETTO G1, un lavoro del 1975, Alberto Burri sperimenta un miscuglio di
caolino, bianco di zinco e vinavìl, spalmato su un pannello di collotex
un materiale industriale composto da trucioli di segatura e colla
pressati a caldo. Il risultato che ne deriva è quello di una superfice
irregolarmente e casualmente crettata, in relazione allo spessore del
materiale e al tempo di essiccazione.

Nell'opera sono presenti suggestioni antiche: in parte legate alla terra umbra, o quella conosciuta durante la prigionia del lontano Texas, entrambe idealizzate e quasi purificate dal colore bianco.
La ragnatela di solchi da alla materia una consistenza e un significato autonomi. Ancora una volta si suggeriscono stati d'animo profondi, tensioni interiori, lacerazioni dirompenti.
Ma non per questo la materia diventa simbolica, evenienza che ne metterebbe in secondo piano il significato.
Una vita spaccata dai mille cretti delle contraddizioni, della solitudine, dell'indifferenza e dei colori, ma, proprio per questo, incredibilmente ricca di valori, di speranza e di umanità