CECI N'EST PAS UNE PIPE



"Il tradimento delle immagini" è un dipinto del pittore surrealista belga René Magritte e rappresenta una delle numerose variazioni sul tema della pipa realizzate dall'artista tra il 1926 e il 1966.

Questo quadro rappresenta l'immagine tanto realistica quanto decostituzionalizzata di una pipa dipinta su fondo uniforme, accompagnata da una scritta in un corsivo regolare e diligente che afferma: "Ceci n'est pas une pipe". Infatti dice Magritte:"Chi oserebbe pretendere che l'immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa". La riflessione sembra semplice, in quanto è la negazione di qualcosa che si nega da solo: l'immagine della pipa, infatti, non è la pipa reale. E' chiaro che la pipa del quadro non può essere fumata e quindi non può esserci identità tra l'immagine dell'oggetto e l'oggetto reale, come non c'è identità tra definizione verbale (la scritta) e definizione visiva (l'immagine). La scritta, tuttavia, coglie noi ossevatori di sorpresa perchè opera uno scollamento fra la cosa reale e l'immagine e fra l'immagine e la parola. Magritte mette così in discussione l'illusionismo pittorico, l'identificazione tra immagine e realtà attraverso la rappresentazione; in definitiva mette in questione le possibilità rappresentative dell'immagine, dipingendo appunto una pipa e affermando che non si tratta di una pipa. E' un paradosso logico-linguistico che sconvolge le nostre tranquille aspettative teoriche e visive. Se il principio cardine della pittura classica stabiliva un legame indissolubile tra verosimiglianza e rappresentazione, tra segno e cosa, secondo il dogma assoluto che "dipingere è affermare", Magritte con la sua opera costituisce un ribaltamento di quel principio. Per Magritte, dipingere non è affermare.

Il quadro è come un enigma che agisce da stimolo intellettuale, pone una serie di problemi e riflessioni riguardanti la natura dell'arte e i suoi fondamenti logici e linguistici. Magritte, decontestualizzando un oggetto riconoscibile, fa della pittura un mezzo di conoscenza, uno strumento linguistico che in realtà non permette di essere utilizzato immediatamente, perchè il rapporto tra la cosa e la forma che la rappresenta, o la parola che la designa, è ormai mutato, prevede un'attenzione maggiore del normale, implica una relazione più complessa. Nel caso di Magritte, fra la parola e l'immagine, fra le due attività di leggere e guardare si sviluppa un conflitto, poichè la lettura smentisce la cosa guardata: scrittura e immagine vivono in autonomia, l'una negando all'altra autenticità.



Nel quadro "I due misteri", anche la seconda pipa, quella grande, che in fondo può essere considerata "lontana" o esclusa dalla scritta, anche'essa non è una pipa, ma un'immagine, né vera né falsa, a mezz'aria come se stesse per uscire dalla cornice, gigantesca, grigia, come fatta di fumo. Così sospesa potrebbe rappresentare un'emanazione dell'immagine della pipa nella cornice o qualcosa che le si contrapponga oppure un'idea della mente, l'archetipo della pipa dipinta sul cavalletto. Scrive Magritte: "un oggetto non svolge mai la stessa funzione del suo nome o della sua immagine"; dunque, anche un oggetto del pensiero non svolge mai la stessa funzione del suo nome o della sua immagine. Anche il pensiero, come si vede, può essere affidato a delle immagini, può diventare visibile.

Lo sguardo di Magritte si rivolge ad indagare proprio la percezione della componenti visive del pensiero. Ciò che vuole raggiungere è una sorta di visualizzazione del pensiero e della sua natura misteriosa; tutta la sua produzione può essere letta come una continua ricerca di dare forma a delle idee utilizzando il mezzo pittorico. A Magritte ciò che interessa non è tanto al realtà, infatti, ma la descrizione del pensiero, i percorsi nei meandri della logica, il procedimento intellettuale che l'opera fa scattare nella mente di chi la osserva. Nel quadro ciò che conta non è tanto il suo valore formale, bensì il fatto che rappresenti l'immagine di un ragionamento che sorprende e spiazza l'osservatore. E' questo il significato delle parole di Magritte, quando afferma che "la mia maniera di dipingere è assolutamente banale e accademica. Importante nella mia pittura è ciò che essa mostra". Scrive lo stesso artista: "Io utilizzo la pittura per rendere visibile il pensiero". Il sapere del pittore non è quindi solo la capacità di fare, non sta solo nel suo gesto, ma è anche un saper pensare e far pensare.

Da ultimo, vorrei soffermarmi su alcune riflessioni più generali che mi ha suscitato l'argomento che ho affrontato e che riguardano il parlare di un'opera d'arte, lo scrivere su di essa, il "descriverla". Se da un lato l'esperienza di Magritte e i suoi stessi quadri mostrano quanto sia complesso anche il rapporto tra immagine e parola, dall'altro bisogna riconoscere che è complesso anche il rapporto tra percezione e descrizione di un quadro. Il problema, insomma, riguarda l'artista che vuole servirsi sia di elementi plastici che di parole per creare i suoi quadri, ma riguarda anche, in maniera differente, chi osserva un'opera d'arte e si serve delle parole per descriverla. Per essere interpretato, un quadro non può fare a meno del linguaggio, ma la descrizione del quadro può restituirci ciò che la percezione ci dà? Il dubbio nasce dal fatto che parlare e vedere non sono affatto la stessa cosa e non possono mai coincidere perfettamente. Il rapporto tra visibile e dicibile, tra immagine e parola è complesso anche perchè rimanda alla relazione tra due concetti opposti, silenzio e parola. Il quadro, infatti, è di per sé silenzioso, muto, semplicemente si lascia guardare. E per vedere, noi non necessitiamo d'altro che degli occhi. Qualsiasi sia il "gioco" che ci viene proposto da un dipinto e a cui accettiamo di partecipare, questo gioco è inevitabilmente sorretto e orientato dalla percezione. Ciò significa che davanti a un'opera d'arte la prima cosa che avviene e la più sostanziale è la sua percezione visiva; solo dopo il dipinto libera i pensieri e le parole. Le parole possono descrivere, indagare, interpretare, dire come è il quadro, ma non ciò che esso è. Esso, in un certo senso, è ciò che rimane dopo le parole, è quel "resto" che non si può descrivere, che rimane muto e tuttavia visto. L'esperienza percettiva è dunque molto più vasta e complessa di ciò che le parole possono rendere, anche le più acute e pertinenti. In conclusione, appare determinante e ricco di sorprese non tanto tendere a far coincidere ciò che si vede con ciò che si dice, ma piuttosto far emergere la ricchezza degli intrecci che il visibile e il dicibile stabiliscono tra loro e cogliere ciò che nasce dal loro incontro.







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Nora Segreto

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