Abbazia di Sant'Antimo

In Toscana, nella provincia si Siena, a 10 km a sud di Montalcino, si trova la chiesa abbaziale di S. Antimo , tra i maggiori monumenti romanici della regione ed esempio dei più pregevoli dell'architettura monastica del XII secolo. La grandiosità dell'edificio, che richiama nelle strutture i modelli romanici transalpini e lombardi, è esaltata dalla bellezza della campagna, nella quale si staglia isolata tra gli olivi.


Il privilegio di Enrico III del 1051 afferma che la badia sarebbe stata fondata da Carlo Magno, il quale secondo la tradizione le avrebbe donato le reliquie sei santi Antimo e Sebastiano, ottenute a Roma da Papa Adriano I. Secondo i Commentarii di Enea Silvio Piccolomini S. Antimo sarebbe stata fondata nel 781 durante un'epidemia di peste, dalla quale l'esercito franco sarebbe stato salvato per la scoperta della prodigiosa erba carolina nella Valle dello Starcia, ragion per cui, poi qui sarebbero state recate le reliquie di san Sebastiano, invocato contro la peste. Probabilmente furono invece proprio le reliquie a stimolare la formazione della leggenda. Fedor Schneider ha fatto risalire la fondazione alla tarda età longobarda, ad opera del monaco Tao che fondò anche la Badia si S. Tommaso (detta di Santo Mato o San Tomato) nel Pistoiese, documentata nel 789. La prima menzione di Sant'Antimo è nel privilegio di Ludovico il Pio dell'814, di dubbia autenticità; nel 877 la badia fu sottoposta temporaneamente da Carlo Il Calvo al vescovo di Arezzo, pur trovandosi in diocesi di Chiusi, con l'obbligo di mantenervi quaranta monaci; nel 911 Cristiano vescovo di Chiusi esentò le abbazie di Sant'Antimo e San Salvatore sul Monte Amiata dal pagamento delle decime alla mensa episcopale, cosa poi ricordata nel processo del 1006 fra vescovo e abate di Sant'Antimo, in cui Enrico II prendeva le difese di quest'ultimo. Nel privilegio accordato nel 950 da Berengario e Adalberto sono ricordati i primi abati Tao e Tanimondo e i precedenti privilegi di Carlo magno e Ludovico il Pio.


La chiesa attuale, di stile romanico con influenze cistercensi, risale al secolo XII; il paramento, esterno ed interno, è di travertino, mentre la decorazione architettonica è di onice delle vicine cave di Castelnuovo, che conferisce all'involucro una singolare lucentezza e riflessi dorati. La semplice facciata, con coronamento ad archetti, lascia apparire i segni di quattro grandi arcate cieche e un protiro racchiudente un ricco portale in forme romaniche, decorato da eleganti sculture; l'architrave, del secolo XII, reca il nome di uno degli architetti della chiesa, il monaco Azzone dei Porcari. Il fianco sinistro è ornato di un portaletto del secolo IX con interessanti figurazioni geometriche. in fondo s'innalza il poderoso campanile quadrato, di forme lombarde, aperto da due ordini di monofore, con cella campanaria a bifore; nel lato orientale sono visibili due bassorilievi: un singolare toro alato con testa feminile e una Madonna col Bambino . Pregevolissimo l'insieme dell'abside semicircolare, con profonde absidiole radiali, pure semicircolari. Nel fianco destro è un altro piccolo portale dell secolo XI, con interessanti rilievi sull'architrave raffiguranti grifi, aquile e animali fantastici. Sulla destra della chiesa sono visibili i resti dell'antico monastero, tra i quali la sala capitolare, anteriore alla costruzione del tempio, aperta in facciata da due trifore. Purtroppo l'ambiente è stato del tutto cementato in un recente restauro , ma resta l'irregolare muratura esterna dell'abside, in pietre accapezzate di piccolo taglio, a dimostrazione dell'appartenenza al primo stile romanico. E' da credere che la sacrestia, posta a destra della chiesa del XII secolo, corrisponda al solo nucleo centrale del presbiterio dell'edificio dell'XI secolo, il quale potrebbe aver avuto iconografia a creoce commissa, secondo la consuetudine delle badie toscane del tempo, e la cui navata era sicuramente molto più lunga. Analogamente a quanto avvenuto a Cluny, della cui congregazione comunque Sant'Antimo non ha mai fatto parte, benchè ciò sia stato congetturato, la nuova chiesa fu costruita non al posto della prima, ma accanto ad essa. L'ambiziosa impresa fu possibile grazie ad una cospicua donazione di terreni ad opera degli Ardengheschi nel 1117, ricordata in una lunga epigrafe sui gradini dell'altar maggiore e sull'adiacente sostegno. Si tratta di una charta lapidaria cioè della trascrizione della pergamena redatta in occasione della donazione.


L'interno è un tipico organismo romanico basilicale, a tre navate divise da alte colone alternate ogni tre colonne cruciformi; sulle arcate a tutto sesto corrono i matronei, aperti da eleganti bifore. La navata maggiore è a travature scoperte; quelle laterali e il deambulatorio hanno volte a vela. La navata destra è più grande della sinistra ed entrambe, dopo la sesta arcata, si restringono sensibilmente; la navata mediana a sua volta va leggermente restringendosi dalla facciata all'abside.



Con l'adozione del deambulatorio a raggera, dell'alternanza dei sostegni, un pilastro a fascio ogni tre colonne, e la presenza del matroneo, la chiesa mostra di essere ispirata ai famosi santuari francesi sorti dalla metà dell'XI ai primi del XII secolo lungo le strade di pellegrinaggio per Santiago. Infatti, dopo l'iniziale presenza di una maestranza tolosana nel portale di facciata, i lavori furono proseguiti da una maestranza locale, che rinunciò ad applicare molte delle caratteristiche più innovative e tecnicamente ardue del primo progetto, semplificandolo quindi notevolmente e adattandolo alle esigenze dela committenza toscana, giacchè appunto non di monaci cluniacensi francesi si trattava.



Verso la metà del XII secolo nello stupendo capitello di Daniele operò nuovamente uno scultore di formazione linguadocana, le cui personalissime creazioni sono state riconosciute dalla critica attorno ai Pirenei, fra Linguadoca, Navarra e Catalogna, oltre che appunto in Toscana: il cosiddetto Maestro di Cabestany.


particolare di un capitello del deambulatorio.