LA NATURA NELL'IMMAGINARIO DELLO SCIENZIATO.

Le Scale.

L’uomo ha da sempre usato metafore per rendere anche visibilmente l’idea che aveva del mondo o, più propriamente in questo caso, di come il mondo fosse stato creato e del ruolo che vi giocavano piante, animali e l’uomo stesso. Una di queste è la “scala”; usata da Lullo nel 1304 essa rappresentava un percorso dal fisico al metafisico, dall’imperfetto verso il perfetto; era perciò una scala progressiva sulla quale l’uomo si muoveva in virtù del suo intelletto.

Altro esempio di scala è quella di Bovillo che la intende, come Lullo, come un percorso dell’uomo virtuoso composto di 4 gradini/regni principali: 1- minerale, intesa come semplice esistenza; 2- vegetale, intesa come semplice istinto di sopravvivenza dell’uomo consistente nell’alimentazione; 3- animale, intesa come istinto esclusivamente riproduttivo, quindi ancora al livello di un uomo che si fa comandare dai propri istinti; 4- uomo, inteso come lo studioso che attraverso la conoscenza e la cura delle virtù si alza al di sopra dei semplici istinti.

Esempio assai simile quanto diverso si ha in Bonnet il quale nel 1509 ordinò tutte le creature in 51 gradini con alla base i quattro elementi (terra, aria, fuoco, acqua) e al suo culmine pone l’uomo; una scala ascendente fatta per mostrare tutte le creature dalla più semplice alla più complessa, collegandole tutte fra loro e collegando i diversi regni con altrettante sfumature. Vediamo così che il corallo fa da sfumatura tra il regno minerale e quello vegetale, e l’Orangutan tra l’uomo e le scimmie; tralasciando la classica definizione dell’uomo come creatura superiore e facente parte di un regno a sé; è giusto notare che l’idea di scala per Bonnet prevede anche il movimento, non si tratta di un movimento evolutivo ma metamorfico, ovvero si prende in considerazione l’idea che tutte le cose esistenti siano a modo loro perfettibili, per cui anche se la scimmia non potrà mai arrivare, data la sua natura, al grado di uomo si trasformerà e migliorerà; e così farà anche l’uomo mantenendo però sempre la stessa posizione nella scala del creato. Tutte queste idee prevedevano però solo delle unità, ma si iniziò ben presto a pensare che i quattro elementi, ad es. fossero dei composti, e questo rese letteralmente la scala di Bonnet leggermente nuvolosa ai lati; e ciò per via delle difficoltà a rendere maggiormente visibili le sfumature esistenti fra esseri appartenenti alla stessa razza; serviva quindi qualcosa di meno simile ad una scala e più simile ad una mappa, per poter esprimere concetti in 2D.

Mappe!

Uno dei primi a teorizzare questo modo di interpretare il creato fu Linné, egli studiò approfonditamente la botanica e si accorse delle molte problematiche date da una catalogazione eccessiva; un es. lampante sono i nomi chilometrici che venivano assegnati alle piante, il cui scopo era quello praticamente di descrivere fin nei minimi dettagli la pianta; ciò rendeva assai arduo se non impossibile lo scambio di informazioni fra botanici.
Linnè creò un nuovo sistema di classificazione: basandosi esclusivamente sugli stami, che divideva le creature per numero, forma, posizione, proporzione; all’interno di esse gli ordini vengono circoscritti secondo numero, forma posizione e proporzione dei pistilli; all’interno di essi i generi vengono delimitati secondo le altri parti del fiore; all’interno di essi le specie vengono determinate secondo le parti del frutto, e all’interno di esse le varietà vengono distinte dalle altre parti del vegetale; con questa nuova organizzazione tutte le piante vennero rinominate con solo due termini: 1- genere, 2- specie.
La nuova classificazione CLASSI- ORDINI- GENERI- SPECIE- VARIETà, venne presto applicata anche al mondo animale come si può vedere nella mappa realizzata nel 1735, che vede la visualizzazione delle “famiglie”, in una disposizione a grappoli.

Con la mappa di Hermann possiamo notare due novità: 1- l’uomo fa parte del regno animale, e ciò significa che qualsiasi sia la strada che l’uomo deve percorrere con l’anima per arrivare alla perfezione (tramite le virtù), qui diviene irrilevante poiché vi è la volontà di dare un’ordine alla sola natura materiale e fisica, tangibile e scientifica; 2- la disposizione a grappoli fa sorgere notevoli dubbi, naturalmente non si mette ancora in forse il creazionismo, ma ci si chiede se non sia possibile che Dio abbia creato solo un tipo di pianta che poi, tramite ibridazione, a dato luogo alle sue variazioni o addirittura (Linné) una sola pianta per un intero ordine vegetale.

Un allievo di Linné, Giseke, nel 1792 materializzò queste idee in una mappa consistente in 56 cerchi; in questa raffigurazione la vera novità sta nel fatto che su quel territorio ci si può muovere in più direzioni e ciò fa si che la natura possa cessi di poter essere pensata come provvista di una linea di tendenza.

Prima di Giseke Buffon aveva utilizzato, nel 1755, la mappa per visualizzare le razze canine creando una sorta di mappa genealogico-geografica; infatti partendo da quella che secondo Buffon è la razza- ceppo, egli dirama tutte le altre razze in corrispondenza del loro luogo d’origine (ad es. il pastore islandese è sovrapponibile all’Islanda).
Buffon apporta non poche novità al modo di intendere la creazione; intanto mette in forse la tesi del catastrofismo in favore di cambiamenti più graduali che potessero permettere la trasformazione delle specie, ciò significa perciò poter studiare ed interpretare i cambiamenti avvenuti nel tempo basandosi sul presente come apice di tali mutazioni; in tale ottica i fossili divengono testimonianze del passato e non più scherzi della natura o, all’estremo del possibile, addirittura resti dei pasti dei pellegrini recatisi in Terrasanta.
Buffon vedeva la trasformazione delle specie, le variazioni, come effetti del cambiamento ambientale che li obbligava ad adattarsi; infatti sosteneva che gli animali fossero legati alla terra molto più degli uomini, per cui un minimo cambiamento avrebbe sconvolto le loro abitudini o addirittura a migrare in altre zone; ed è stata questa la causa principale del loro cambiamento.
Egli vede inoltre 3 cause principali per le trasformazioni: 1- il clima della regione, 2- la qualità del nutrimento, 3- i mali della schiavitù; relativamente cause di cambiamento, alterazione e degenerazione degli animali.
Con degenerazione non intende un ipotetico “peggioramento”, ma solo un allontanamento progressivo dal modello originale presentato dalla natura.
Buffon inoltre anche se ipotizza dei ceppi primigeni non ipotizza che tutta la vita o un regno intero si siano sviluppati da un unico ceppo, ma sostiene solo delle relazioni fra variazioni.
A seconda della speciazione vede anche una maggiore minore “nobiltà”, ad esempio vede nell’uomo un elevato grado di nobiltà dato che non ci sono grandi variazioni; caso leggermente diverso è quello del cavallo che viene visto da Buffon come un animale “abbastanza” nobile, dato che ha vicino l’asino; assai meno nobili sono il cane (v. la vicinanza con il lupo) e, di infimo livello, gli insetti.
In pratica le specie passibili di “degenerazione”sono quelle “inferiori”, anatomicamente più semplici, mentre le specie “nobili”, anatomicamente più complesse, “sono costanti, invariabili, e […] non si può supporre che si siano degradate”.
Comunque anche per le specie nobili è prevista la biodiversità, e questo perché tutte le cose viventi subiscono gli effetti dei cambiamenti ambientali.

Altra rappresentazione è quella di Saint- Pierre del 1773 che basa il suo disegno su di una rete, creando un tessuto inteso a rendere visibili le correlazioni ed unioni fra le specie (o variazioni); il sistema è semplice, si mette al centro l’essere più semplice dal quale poi si fanno partire tutte le diramazioni collegando fra loro quelli più prossimi.
Con tale rappresentazione si resero visibili dei “buchi nel tessuto”, ovvero alle volte mancavano i collegamenti fra due specie; Saint- Pierre sosteneva che ciò fosse dovuto al fatto che tali forme non erano ancora state scoperte ma che fossero comunque deducibili dalle forme esistenti e/o conosciute.

Altra rappresentazione di rete venne eseguita da Hermann nel 1777, ma a differenza di quella del suo predecessore in questa i fili non si toccano perché spesso sovrapposti; inoltre è disposta quasi a creare un disegno del piano creatore della Natura del quale possiamo vedere, qui sta il punto più interessante, più punti di approdo.
In pratica da questa rete sembra di capire che, se anche l’uomo è la creatura più alta nella creazione, non è l’unica perché al suo stesso livello possiamo vedere altre specie; questo potrebbe far venire in mente però una mancanza di finalità; forse fu per questo che si sentì il bisogno di tornare ad un sistema di raffigurazione che desse la possibilità di rendere visibile una finalità (se era presente) ma, contemporaneamente, di supplire alla mancanza data dalla scala, ovvero di rendere comunque visibili le vicinanze e parentele fra le specie; in pratica serviva un ALBERO.

ALBERI!

Le rappresentazioni metaforiche sottoforma di albero erano già presenti in molte culture e con molte differenti applicazioni; ad es. nella religione cristiana in cui possiamo vedere Gesù crocifisso e dei rami che, partendo dalla croce, portano scritti versetti dei Testi Sacri.

Un altro utilizzo era nel campo alchemico nel quale vediamo i quattro elementi/radici che insieme possono dare vita a vari composti/rami; simile un altro albero riguardante la medicina e la rappresentazione di sintomi e cause oppure riguardante i tipi di febbri con cause, sintomi ed evoluzioni.

Ed infine la più classica di tutte: l’albero genealogico, molto utile per provare le discendenze dei nobili da nobili re.
Dal punto di vista scientifico uno dei primi alberi fu realizzato da Buffon nel 1766; infatti egli rappresenta la natura come un insieme di alberi o famiglie naturali, contraddistinti da un ceppo principale che si suddivide poi in fusti secondari ed infine rami, a rappresentare le derivazioni che si sono formate.

Un altro esempio, o prototipo, di rappresentazione ad albero ci viene da Augier che nel 1801 ne realizzò uno per rappresentare le affinità fra le piante; il punto più interessante è che questa è in assoluto una delle prime rappresentazioni di filogenesi [Def.: successione genealogica delle forme di vita nel loro totale], prima ancora di Darwin, infatti in questo albero possiamo vedere non solo come Augier pensava si fossero diversificate le piante partendo da un ceppo comune, ma anche la “strada” che avrebbero compiuto, il percorso compiuto dalla natura.

Anche Chambers realizzò un albero zoologico nel 1844, ma era di assai difficile lettura [Genealogia dei pesci (F), rettili (R), uccelli (B) e mammiferi (M)]; comunque anch’essa sosteneva la teoria della filogenesi, o quantomeno il fatto che una teoria evoluzionistica fosse plausibile.
Chambers non era uno scienziato, ma un editore, per questo quando pubblicò le “Vestiges of the natural historyof creation” lo fece in forma anonima; ciononostante è un’opera rilevante perché ricollega in un certo senso le varie teorie riguardanti la creazione della Terra, lo studio dei fossili, l’anatomia comparata e la nascente embriologia comparata e ne trae delle conclusioni quali: 1-la possibilità di un’evoluzione lenta e graduale (Bonnet), 2- la possibilità che la vita tendesse intrinsecamente alla progressiva complessità degli (Buffon- Lamarck) organi, 3- la possibilità che la casuale comparsa di forme di vita più adatte all’ambiente di quelle già presenti, potessero soppiantarle creando così un brusco scarto (Maupertuis- Matthew).
Chambers dava anche notevole credito alle teorie di Lamarck e di Geoffrey Saint-Hilaire, ma di queste parleremo in seguito, comunque è bene ricordare che Lamarck non prevedeva i cambiamenti fortuiti, ciò preparò il terreno alla discussione che sarebbe venuta in seguito riguardo all’ “Origin” di Darwin del 1859.

Altra interessante rappresentazione è quella di Agassiz del 1833- ’43; pregevole rappresentazione in quanto tempora lizza, scandendolo in verticale con le ere geologiche, le affinità delle varie famiglie di pesci e la storia dello sviluppo della classe dei Pesci.
Particolarità di tale albero sta nel fatto che i “rami” o “ceppi” non sono innestati gli uni sugli altri, e questo perché si basava sulla teoria del catastrofismo e sulla continua creazione di nuove specie più adatte che soppiantavano le precedenti; in poche parole si tratta della “manifestazione di un ordine delle cose determinato in anticipo, tendente ad un scopo preciso realizzato, nel tempo, con metodo”; questo è un esempio calzante di come la forma di una rappresentazione che viene sempre collegata a Darwin e all’evoluzionismo, fosse invece anche usata dai creazionisti e catastrofisti.
E’ arrivato quindi il momento di parlare del più conosciuto albero: quello di Darwin del 1859.

In questa rappresentazione abbiamo un idea che si basa intanto sulla teoria della filogenesi, e poi che tiene in particolare conto la selezione naturale e la presenza di variazioni, infatti sono presenti rami con gemme a significare le specie ancora in vita, e rami tagliati che simboleggiano l’estinzione; ma soprattutto più linee derivanti da un unico ceppo, più variazioni viventi con le medesime origini.
Nell’ “Origin” Darwin parla di un continuo presentarsi nella natura di variazioni, di un accumularsi di queste.
Beninteso, Darwin non ha mai trattato l’argomento come di un evoluzione in senso progressivo, ma ha solo e sempre parlato di continui cambiamenti in vista dell’adattamento ad un determinato ambiente, poiché la legge della natura non favorisce il più forte, ma solo il più adatto.
Come Darwin il coevo Wallace nella rappresentazione della genealogia dell’ordine dei colibrì, dove possiamo vedere come anche una seppur minima variazione, potesse essere utile a rendere più adatto quell’animale alla vita. Un ultimo esempio di albero ci deriva da Haekel che nel 1868 rappresentò l’evoluzione storica delle famiglie degli animali partendo dalle varie ere geologiche; ma non è questo il punto importante, quanto piuttosto il fatto che secondo Haekel il primo Darwin non avesse saputo impostare correttamente il problema dei rapporti fra la variabilità individuale e la selezione naturale (passaggio alquanto oscuro…).

Conclusioni.

In conclusione possiamo dire che le metafore esistono in funzione delle loro raffigurazioni. Adesso oltre la metafora dell’albero si parla di “cespuglio”.
La metafora rende possibile la nascita di nuove idee e interpretazioni grazie alla sua singolare caratteristica: l’accostamento. Con accostamento si può intendere sia l’idea che si accosta ad un’immagine o rappresentazione, o anche più idee che si accostano alla medesima metafora.
Un esempio ne è la metafora della scala vista in tempi diversi: la scala di Lullo ad esempio risale al 1300 e rappresenta l’ascesa dell’imperfezione verso forme perfette; invece Voltaire, uomo del ‘700, la interpretò come una metafora “conservatrice del potere tendente quasi alla credenza popolare”, e questo a causa del suo sfumare verso l’Alto dei cieli.
D’altro canto Buffon vide nella scala una metafora progressiva, ciò metteva in forse le sue convinzioni fissiste (all’epoca lo era ancora, 1753), e creava la possibilità che ci fosse un unico ceppo dal quale si era diramata tutta la vita.
In effetti non aveva tutti i torti dato che poi Lamark avrebbe fondato tutta la sua teoria sull’assioma: natura non facit saltus.
Quindi abbiamo da un lato le idee che vengono messe potentemente a fuoco dalle metafore, e dall’altra la metafora suggerisce molte più cose alla mente; tutto questo da un certo punto di vista indebolisce l’uso della metafora, ma come ebbe da dire anche Darwin l’elasticità non è un difetto, ma una virtù; concludiamo così con due citazioni:
“La metafora mi pare insostituibile come mezzo per afferrare, in una rivelazione improvvisa, l’inafferrabile essenza delle cose” [Kundera].
“A me essa pare insostituibile anche come mezzo per accostare, in modo elastico, l’irriducibile molteplicità delle cose” [Barsanti Giulio].