Firenze


“Il mondo pululava di possibilità infinite in quel tiepido e in atteso febbraio di Roma, mentre ero in bilico fra il non più della mia vita di ragazzo e il non ancora della mia vita di uomo. Era una striscia sottile, euforica, e provvisoria. Era bello starci, su quella striscia. E solo quello che è provvisorio è perfetto.” Gianrico Carofiglio, “Perfezioni provvisorie”



Il protagonista passeggia lungo la strada che accompagna il Tevere, io lungo quella che accompagna l’Arno. È febbraio per lui, per me l’inizio di un ottobre che ancora si guarda indietro, verso l’estate. Il resto è perfetto. Cammino su una linea sottile che separa quello che ancora non è mio e quello che è stato. Sono un’universitaria, ne ragazza, ne donna; solo in bilico. Osservo. Ci sono due tipi di sguardi. Puoi guardare tentando di capire dove sei, semplicemente orientandoti per andare altrove o guardare per rimanere esattamente dove sei, scavando. È da questo secondo sguardo che nasce una foto. Il clic tenta di immobilizzare le sensazioni di quello sguardo. Ed è per lo stesso motivo che ogni scatto è irripetibile. Il tentativo di bloccare quello sguardo, non ancora preso dal fuggi fuggi della vita, che di sguardo mi trascina spesso ad assumere la prima tipologia. Immobilizzare il primo impatto, la prima sensazione di Firenze. Quella voglia di guardare da sola, prendere tempo solo per lasciare liberi i passi. Potrei tornare ora alla stessa inquadratura, ma non credo riuscirei a ripetere. Come gli impressionisti lavoravano sulla luce, cercando di immobilizzarne l’attimo che non tornerà più, così la foto lavora sulla variabile tempo. Nemmeno la sensazione di un momento torna, il tempo cambia il tuo sguardo. E allora la foto è il tentativo di fermare quella “perfezione provvisoria”. Un click e già si è alla ricerca di un nuovo equilibrio.




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