Anticlassicismo e Manierismo



Nella Firenze dei primi anni venti del Cinquecento due giovani artisti, Jacopo Carucci (detto il Pontormo) e Rosso Fiorentino, sentirono il desiderio di sperimentare, di evadere da qual codice figurativo appreso nella bottega del maestro dell'Annunziata, Andrea del Sarto. Un codice figurativo caratterizzato dalla continua ricerca di equilibrio compositivo ed espressivo, dall'armonia delle forme, dei colori, degli atteggiamenti, una pittura ragionata, senza errori, senza istinto, una pittura che in regola con i dettami del Rinascimento doveva riprendere i canoni dell'arte classica. Stanchi ed insofferenti, gli “artisti anticlassici” iniziano a pensare qualcosa di nuovo: partendo dai loro “maestri senza errori” ne forzano i toni psicologici, caricarono i volti dei personaggi di espressività, di emozioni, i colori diventarono accesi, aggressivi, le composizioni non più statiche ma dinamiche.

La stagione anticlassica, di cui il Rosso e il Pontormo sono i migliori rappresentanti, porta in sé quella cultura stilistica che maturerarà durante l'età della Maniera.
un'età che compie i suoi primi passi nella città eterna tra la morte di Raffaello (1520) e il sacco di Roma (1527).
La maniera è generalmente intesa come lo stile di ogni singolo artista, il suo modus operandi che lo distingue da ogni altro, quindi la sua impronta soggettiva. Ovviamente la soggettività della maniera si scontra con l'oggettività dell'imitazione della natura, e proprio questo distacco dalla realtà portò a considerare negativamente all'arte cinquecentesca.
Il Vasari, al contrario, sostiene che la maniera ha un'accezione positiva o negativa in base al rapporto che instaura con la natura e la sintesi tra le due si realizza tramite l'«electio» cioè l'imitazione selettiva di quanto di più bello c'è in natura.
L'arte è formata in parte dalla natura e in parte dall'artista, mentre la natura detta le regole, le misure, fornisce i canoni, l'artista manovra queste norme e si concede delle licenze, eccede la misura. Ma è fondamentale che questo equilibrio non si spezzi, bisogna quindi evitare che l'operato dell'artista prevalga sulla natura e l'unica soluzione per Vasari è attenersi al «retto giudizio» il quale deve fare in modo che la «licenza» sia «ordinata alla regola».
La Maniera è l'arte dominata dall'ossimoro visivo, quindi dal contrapposto di corpi serpentinati che si aggrovigliano gli uni agli altri, dal virtuosismo che vuole mostrare la facilità di risoluzioni di esecuzioni tanto intricate perché, come Baldassarre Castiglione soleva ricordare al suo Cortegiano «è vera arte solo quella che non sembra essere arte».
L'artista ha una mente veloce, che elabora continuamente pensieri e fantasie e la grottesca, che fa germogliare le proprie forme l'una dall'altra, un'aggregazione di elementi incongrui, incompatibili, legati tra loro solo dall'estro del pittore, è la migliore espressione del cervello dell'artista che lavora di getto. È il trionfo dell'illogico e del fiabesco.
Ma l'età della Maniera è anche l'età delle guerre che devastano l'Italia percorsa in lungo e in largo da eserciti francesi e spagnoli, è l'età della crisi religiosa delle riforme protestanti e della Controriforma.
E quei mostri che popolano i giardini, gli automi, i giganti, le stranezze, l'allegria delle feste servono ad esorcizzare le paure quotidiane, la perdita di certezze politiche e spirituali.
Ma proprio ciò che diede linfa all'arte della maniera fu la causa del suo tramonto.





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