Dix e Beckmann: come il primo conflitto mondiale influì sulla pittura tedesca.


Max Beckmann Otto Dix
La Prima Guerra Mondiale, primo conflitto su larga scala che vide osteggiarsi le maggiori potenze del tempo, scoppiata nel 1914 a seguito dell’assassinio a Sarajevo dell’erede al trono Austro-ungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando, per mano dello studente nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip, portò al suo concludersi gravi perdite sia umane che economiche, oltre a suscitare le reazioni di classi sociali come quelle meno abbienti ed operaie che, ulteriormente gravate dagli sconvolgimenti del conflitto, ora esigevano che i propri diritti fossero maggiormente riconosciuti all’interno della società. Questo quanto successe anche in Germania, nazione esausta e prostrata alla guerra con un milione e ottocentomila morti e quattro milioni di feriti, motivo per cui la rivoluzione nel territorio, alimentata dalla fame, dalla delusione per la sconfitta e dalla volontà di scacciare i responsabili del tragico conflitto, scoppiò spontanea senza le dritte di alcuna guida ideologica, destinata però, anch’essa, a dissolversi in una nuvola di fumo per i contrasti interni alle parti rivoluzionarie e per l’insanabile frattura fra social-democratici e comunisti tedeschi, che lascerà aperta la strada all’ ascesa del nazismo, a partire dal costituirsi della Repubblica di Weimar nel 1919. A dar voce al turbamento che si avvertiva un po’ in tutto il territorio tedesco, gli artisti della ‘nuova oggettività’, movimento che riassumeva la volontà, soprattutto in pittura, di osservare le cose con una rinnovata ed amara acutezza e con una forte lucidità espressiva, tesa ad illustrare con deformante realismo i "disastri della guerra" e la decadenza della società borghese, come reazione all’espressionismo e ad una rappresentazione della realtà fino ad allora falsata. Maggiori esponenti di questa innovativa corrente saranno Max Beckmann e Otto Dix , entrambi tedeschi, la cui produzione sarà sempre contrassegnata da una costante partecipazione a quanto rappresentato, con la volontà di denunciare quanto la Prima Guerra Mondiale aveva portato, dilatando i travagli interiori e le esperienze personali ad una situazione più universale, in cui si potesse trovare una chiara lettura di come, anche a livello morale, il conflitto aveva cambiato un’intera nazione. Entrambi, inoltre, con ruoli molto diversi, presero parte attiva al conflitto, il primo come infermiere al fronte, ed il secondo come volontario arruolatosi con un entusiasmo senza eguali, e questo condizionerà senza ombra di dubbio la loro produzione, trasformando, a partire dagli anni ’20 il loro linguaggio espressivo che si farà più realistico, popolaresco ed incline alle deformazioni grottesche. Pur con questi comuni intenti, però, i due pittori reagiranno in maniera completamente differente alla partecipazione al conflitto mondiale; Beckmann ne tornerà infatti profondamente cambiato e turbato e ad un mutamento psicologico, che quasi sfiorava la pazzia, corrisponderà un mutamento anche a livello pittorico, con la predilezione per un colore acre, per un segno duro e compresso e per una deformazione delle figure, a testimoniare il grave squilibrio interiore dell’uomo, che sfruttava gli eventi drammatici della prima guerra mondiale per poter parlare di un dolore che non fosse soltanto il suo e per prendere le distanze dalle sue angosce più intime, mantenendo pur sempre la volontà di denunciare quanto quegli avvenimenti avevano causato, come si vede ad esempio nel dipinto "La Notte" del 1918. Metafora della condizione umana, dolorosa rappresentazione della fallita rivoluzione tedesca, dell’assassinio dei marxisti Rosa Luxenburg e Karl Liebknecth, raffigura l’omicidio di un rivoluzionario al centro di una scena confusa e movimentata, dai tratti e dai contorni aspri e definiti, da una fissità di colori dove fa da contrasto soltanto il nero, in cui quello che si vuol rappresentare è appunto non soltanto il dolore cosmico, ma quello più intimamente personale di un uomo realmente colpito nel profondo. A dispetto di Beckmann, anche Dix tornerà dalla guerra profondamente deluso e disgustato dalla vita di trincea, ma questo sarà il motivo che lo porterà a produrre opere di ampio respiro riguardo i temi dell’ipocrisia sociale e della violenza, come aperta accusa ai costumi berlinesi e con una lungimiranza tale da prevedere, quasi, cosa aspettasse alla Germania negli anni seguenti, come vediamo ad esempio nel "Trittico della metropoli" del 1927. Di evidente ispirazione gotica per la scelta della tripartizione, è funzionale ad esprimere il contrasto tra lusso e miseria, rispettivamente metafore del degrado materiale e spirituale ed a mettere in evidenza quanto si nascondesse dietro l’apparente e perfetto sfarzo della classe aristocratica (al centro) ossia la vanità e vuotezza di valori, che si risolve soltanto nel lusso e nella soddisfazione del piacere sessuale (nei due pannelli ai lati), ben espresso dall’insolita parata notturna e dall’inserimento di reduci e mutilati di guerra, di prostitute e di corpi femminili allungati e seducenti, come espressione della morte e delle sfaccettature più cupe e viziose del piacere umano. In entrambi dunque la manifestazione di un realismo forse un po’ più soggettivo, perché risultato di una visione riletta e partecipata della realtà, riassunto di un dramma universale e di una comune accusa verso gli orrori della guerra e verso quello che si stava delineando il futuro della propria nazione, la Germania.
Il trittico della metropoli, Otto Dix(1927-1928)
La notte, Max Beckmann (1918)