Gianlorenzo Bernini e il trionfo del Barocco

Gianlorenzo Bernini fu l'artista più amato e apprezzato dai mecenati del tempo. Figlio quartogenito del noto scultore Pietro Bernini, Gianlorenzo nacque a Napoli nel 1598, ma creò le sue prime opere a Roma nell' atelier paterno all' età di quindici anni. L'elemento che unisce tutti i suoi capolavori è il pindarismo dell' arte barocca, ovvero il salto immaginativo tra due situazioni diverse, dal misterioso sublime al suo opposto.


Un esempio di questa caratteristica del Bernini è il San Sebastiano. La statua commissionata da papa Barberini nel 1617 era destinata probabilmente alla cappellina privata di San Sebastiano che era situata accanto a quella della famiglia Barberini, nella Chiesa di Sant'Andrea della Valle di Roma. In questo luogo anticamente si trovava infatti la Cloaca Maxima, una condotta fognaria in cui sembra sia stato ritrovato il corpo del Santo. L'opera rappresenta uno dei momenti di svolta nella sua formazione e l'inizio di un indirizzo autonomo del suo stile rispetto a quello del padre. L'abbandono completo ed estenuato del corpo verso la morte ricorda l' influenza michelangiolesca della Pietà Bandini, uno degli esempi che dimostra quanto Bernini apprezzasse l' arte di Michelangelo e quanto essa fosse per lui fonte di ispirazione. Il dolore espresso dal volto contrasta con la morbidezza del modellato su cui la luce si posa delicata.Il rapporto tra luce ed opera diviene per Bernini, come troveremo anche nei prossimi capolavori, un elemento fondamentale del suo stile che dona sempre alle sue creazioni un punto di vista privilegiato. Ciò che colpisce della statua è la pienezza del corpo del santo che unita al suo sfiorire ormai iniziato determina una continua dialettica tra la luce della vita e le tenebre della morte, due opposti che si trovano implicitamente in tutte le sue opere.


Tale antinomia torna però in forma chiara nel Sepolcro di Urbano VIII. Commissionata dal papa stesso per la propria sepoltura all' interno della Basilica Vaticana, l' opera ebbe tempi di lavorazione molto lunghi: iniziata nel 1628 e realizzata con l' ausilio dei suoi collaboratori, fu ultimata nel 1647, a tre anni di distanza dalla morte del Pontefice. In questo capolavoro si mettono a confronto l' immagine del papa triumphans nell'atto di benedire con quella contrapposta di uno scheletro alato che si riposa allusivo alla transitorietà dell' esistenza umana; si crea quindi un' antitesi tra il concetti di apoteosi e di cenere, tra quelli di carne ed ossa. Il Sepolcro è un' opera fortemente innovativa nella distribuzione delle figure e nell' utilizzo dei vari materiali e trasforma la tipologia del monumento funebre: essa ne rappresenta infatti il modello barocco, non più vincolato a rigidi schemi di memoria cinquecentesca, ma caratterizzato da un equilibrio tra gli effetti cromatici di marmi bianchi e policromi e l' incidenza della luce che alterna zone d' ombra a bagliori solari intensi. Seguendo una struttura apparentemente simmetrica la composizione comprende nella parte inferiore un ampio piedistallo di marmi screziati dalle tonalità lavagna e cremisi sul quale è collocato il sepolcro in bronzo dorato su cui si posa lo scheletro. Accanto ad esso campeggiano le figure allegoriche della Carità con i bambini in braccio e della Giustizia con in mano il fascio littore, la bilancia e la spada: esse dovevano alludere metaforicamente alle virtù nelle quali si era distinto in vita il pontefice la cui figura di bronzo si erge imponente accolta da una grande nicchia intarsiata di marmi misti.


Il contrasto pindarico tra luce e ombra analizzato nel monumento funebre è presente in tutte le sue statue, anche nell' estasi di Santa Bibiana (1624-1626) a Roma, creata in relazione ad una fonte precisa di illuminazione allo scopo di evidenziare al massimo l' intensità dello stato d' animo della Santa. Molte volte infatti Bernini alterava la struttura della chiesa per creare finestre da cui penetrasse la luce che avrebbe toccato la statua, anche se per pochi minuti soltanto. La Santa Bibiana in un preciso momento del giorno si irradia di luce ed è solo allora che capiamo la sua essenza insita nel gioco tra fuoco e cenere in cui,dopo una lunga attesa, si giunge ad un breve attimo di sublimità.
Nel '65 re Sole, chiese al papa il permesso di lasciargli il Bernini per qualche mese: il papa acconsentì e Gianlorenzo si diresse in Francia dove realizzò il busto di Luigi XVI ora a Versailles. Di gusto pienamente barocco, evidenziato dalla nuvola del panneggio e dai gonfi ricci, il busto non fu completato della sua base, probabilmente una sfera in argento con elementi rappresentanti il mappamondo che avrebbe riportato la scritta "picciola base". Queste parole simboleggiavano la contrapposizione tra la sublime grandezza del re Sole a confronto con la Terra. Pur destando ammirazione a Versailles, la fama dell'artista generò nell'ambiente accademico un clima di diffidenza che farà naufragare ogni sua aspettativa, compreso il grandioso progetto per il Louvre di Parigi.


Altro esempio del pindarismo berniniano lo si trova nell' Angelo con la corona di spine nella chiesa di Sant' Andrea delle Fratte. Durante il pontificato di Clemente IX (1667-1669) Bernini riceve l' incarico di trasformare il Ponte Sant'Angelo in un percorso monumentale destinato ai pellegrini che dal centro della città si recano al Vaticano. Una decorazione con angeli doveva rievocare la miracolosa apparizione che al tempo di Gregorio Magno aveva segnato la fine di una terribile pestilenza. All' impresa presero parte i più autorevoli collaboratori della bottega berniniana. L' Angelo con la corona di spine e l' Angelo con il cartiglio oggi in sant'Andrea delle Fratte, due dei dieci realizzati con simboli della Passione di Cristo, sono in gran parte di mano di Bernini, come si rileva dal confronto con una serie di disegni e di bozzetti in terracotta elaborati dall' artista in preparazione di queste opere. Lo stile barocco nel primo angelo è evidente, come nel busto di Luigi XIV, nell' increspato panneggio e nella capigliatura, ma anche nell' espressione del volto, un' espressione di dolore in sintonia con l' oggetto che tiene in mano. E' così che gli angeli rappresenta il rapporto tra finito e infinito o meglio tra la transitorietà dell' uomo e la loro stessa eternità: il fiume che scorre sotto Castel Sant'Angelo rievoca lo scorrere della vita umana su cui gli angeli sono scesi avvicinando ad essa la dimensione ultraterrena.


Poco dopo il 1644 il cardinale Federico Cornaro dette incarico a Gianlorenzo del ripristino e della trasformazione della cappella all' estremità del transetto sinistro nella Chiesa di Santa maria della Vittoria, quale luogo da lui prescelto per la sepoltura propria e della sua famiglia. Inaugurata nel '52 la nuova cappella rappresentò per l' originalità compositiva e per la perfetta fusione tra pittura, scultura e spazi architettonici, una delle espressioni più significative del linguaggio barocco romano, nonchè uno dei raggiungimenti maggiori della poetica berniniana. Su palchi eretti illusionisticamente entro le pareti laterali, due gruppi, composti da membri della famiglia Cornaro, assistono alla solenne e coinvolgente estasi di Santa Teresa d' Avila. Fondatrice dell' Ordine delle Carmelitane, la Santa nacque ad Avila in Castiglia e fu proclamata patrona di Spagna nel 1627 per volontà di Urbano VIII. La rappresentazione aderisce con perfezione alle nuove istanze barocche proposte dal Bernini e allo scopo di simulare, con una illusione visiva un vero è proprio "teatro nel teatro". Investita da una pioggia di raggi dorati la Santa è effigiata in atto di essere trafitta al cuore da un dardo sostenuto da un angelo: la scena, raffigurata all' interno dell' edicola dell' altare, ma immaginata su una nuvola appena distaccata dal suolo, la coglie nel momento più intenso del suo mistico rapimento divino. A intensificare il coinvolgimento fisico e spirituale della figura, l' artista si sofferma magistralmente sull' espressione sognante del volto, degli occhi socchiusi rivolti languidamente verso l' alto e della bocca sensualmente atteggiata nonchè sulla vibrazione cromatica delle pieghe dei panneggi. Il contrasto pindarico, ormai a noi noto, nasce se ci soffermiamo sulla figura dell' angelo, dall' espressione melliflua e serena, del tutto diversa da quella della Santa, come diverse dal panneggio di quest' ultima sono le pieghe dell' abito del messaggero divino che cadono in maniera armoniosa e ascensionale simili a fiammelle di fuoco.