Per quanto sta in te

E se non puoi la vita che desideri

cerca almeno questo

per quanto sta in te: non sciuparla

nel troppo commercio con la gente

con troppe parole e in un viavai frenetico.



Non sciuparla portandola in giro

in balía del quotidiano

gioco balordo degli incontri

e degli inviti,

fino a farne una stucchevole estranea.












Kavafis nacque ad Alessandria d'Egitto, da famiglia greca. Suo padre aveva una ben avviata ditta di import-export.Nel 1870, dopo la morte del padre, Kavafis e la sua famiglia furono costretti a trasferirsi a Liverpool. Kavafis tornò ad Alessandria nel 1882. Lo scoppio delle rivolte nel 1885 costrinse la famiglia a muoversi ancora, questa volta a Costantinopoli. In quell'anno stesso, però, Kavafis ritornò ad Alessandria, dove visse per il resto della sua vita. Inizialmente lavorò come giornalista, ma poi fu assunto al Ministero egiziano dei lavori pubblici, dove lavorò per trent'anni. Dal 1891 al 1904 pubblicò alcune poesie, che gli fruttarono una certa fama per tutta la vita. Morì nel 1933. Dalla sua morte, la fama di Kavafis è cresciuta, e oggi è considerato uno dei più grandi poeti greci.







Kavafis si dedicò molto a ridare vita alla letteratura greca sia in patria che all'estero. Le sue poesie erano solitamente concise, ma riportano molto bene rappresentazioni della realtà o delle società e degli individui letterari che ebbero un ruolo nella cultura greca. L'incertezza nel futuro, i piaceri sensuali, il carattere morale e la psicologia degli individui, l'omosessualità e la nostalgia sono alcuni dei suoi temi preferiti. Come un recluso, egli non fu mai riconosciuto durante la sua vita. Oltre che i suoi soggetti, anticonvenzionali per l'epoca, le sue poesie mostrano anche un'abile e versatile arte, che viene spesso perduta nella traduzione delle sue opere. La sua poetica viene insegnata nelle scuole greche. Kavafis nutrì per tutta la vita un senso di chiusura, di segregazione vergognosa e necessaria. Potenze oscure e indefinibili lo hanno murato "inavvertitamente" in una stanza buia, insieme figura della passione e della paradossale ascesi interiore e artistica cui essa lo spingerà, dove il poeta sa di non poter trovare una finestra aperta sul reale e sulla libertà, ed è al tempo stesso lambito dal pensiero angoscioso che l'impossibile finestra gli recherebbe la luce troppo cruda di scoperte ancora peggiori della presente oscurità. Nella solitaria penombra del suo appartamento di Alessandria, con le finestre sempre serrate e il lucore spettrale della lampada a petrolio e delle candele, Kavafis chiedeva alla memoria di ricondurgli i fantasmi della sua giovinezza, di un corpo, di un incontro, fissandoli in una preziosa e sottilmente malinconica rarefazione (talora in alagiche epigrafi funebri, secondo l'immagine di Brame), oppure in una condensazione di passione rinnovata e vittoriosa sull'oblio, specialmente quando è una nuova occasione per resuscitarne una passata, cosicché la ripetizione sospende, per un attimo, il tempo (La tavola accanto). Già durante l'adolescenza Kavafis scoprì la propria omosessualità; nel lavoro introspettivo e nel fare poetico della maturità vi avrebbe letto e auscoltato i segni mitici delle proprie radici pagane, della libera, autosufficiente e luminosa sensualità precristiana (ellinikì idonì, «piacere greco»). Ma nel poeta opera con altrettanto diritto una coscienza cristiana «infelice», nelle oscure vesti della censura interiore: l'omoerotismo è «amore infecondo», è «lussuria» che ha bisogno di luoghi e contesti infami per accendersi e trovare compimento. Kavafis ha una percezione inconfondibilmente tragica e classica del destino umano, sebbene si realizzi poeticamente con un'asciuttezza e un orrore spiccatamente moderni: la nostra inquietitudine guasta l'opera sublime e incomprensibile degli dèi (Interruzione); ci sforziamo di schivare una sorte che immaginiamo ineluttabile, ma il vero ineluttabile ci coglie di sorpresa, quando siamo ormai sfiniti nella nostra lotta di segno. La risposta all'ambiguità disperante di questa condanna universale si articola in possibilità diverse o piuttosto in modulazioni di una fondamentale rassegnata lucidità. La gnome kavafiana recupera movenze antiche in desolate e quasi prosastiche cadenze di contemporanea amarezza, e sente classicamente la grandezza e la potenza come il massimo pericolo, L'eroismo pregiato da Kavafis è la stoica benedizione di Antonio che saluta, sulla soglia della disfatta, l'Alessandria orgiastica e meravigliosa cui aveva avuto il privilegio di vivere e godere. Splende nelle sue opere, con fiera e abbandonata vividezza, l'eroismo di un poeta che vince, nell'avventura di un eros difficile e segreto, i demoni del veto interno e esterno e sa estrarre dal fango dell'abiezione la perla minacciata dalla bellezza.

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